Ammiriamo la grande quercia in quello che è stato il suo ultimo periodo di splendore, in questa foto del 2005. Per gli esperti e gli appassionati, queste le misure: m. 6,50 la circonferenza del fusto, m. 34 il diametro della chioma, m. 23 l’altezza. 450 anni (in questa foto) molto ben portati.
Sono appena tornato dall’aver reso omaggio ai resti mortali di una sovrana.
Mentre, in auto, percorrevo i circa 60 km che separano il mio paese da Passo di Treia, pensavo di dover scrivere il solito panegirico contro la lentezza della burocrazia, contro la negligenza umana che lascia morire un monumento di questa sorta. Invece, appena davanti all’immenso corpo sbriciolato, ho pensato che sia giusto così.
La quercia di Passo di Treia, la più grande quercia marchigiana, per tutta la sua lunghissima vita, ma specialmente negli ultimi decenni, era stata protagonista di libri e film, era stata visitata da milioni di persone, aveva vinto titoli e riconoscimenti, ma ora era giunto il suo momento. Questo momento, per la verità, era giunto 25 anni fa quando il suo immenso fusto si era aperto a metà. Tutti gli attori possibili (Regione, Provincia, Comune di Treia, Corpo Forestale) si allearono per impedire il funesto epilogo.
Questo, forse, ha regalato 25 anni di vita alla quercia, ma soprattutto ha permesso a noi uomini di godere ancora per un quarto di secolo della sua compagnia. Ma ora era giunto il momento di congedarci da lei. Secondo quanto diceva il prof. Alan Mitchell, massimo esperto mondiale di alberi monumentali, il limite di età di una quercia sarebbe di 500 anni. Secondo le risultanze dell’esame col resistografo effettuato dal prof. Bongarzoni, la quercia oggi avrebbe avuto 473 anni. Se, come dicono gli scienziati, il limite umano sono 120 anni, fatti i paragoni noi ci saremmo trovati davanti a una persona di 113 anni. C’erano già fior di arboricoltori che si erano proposti di curarla per allungarle la vita, ma la regina si è ribellata, e ha scelto il modo più dirompente e adeguato al suo titolo per uscire di scena. Nella notte fra il 18 e il 19, quasi verso mezzanotte, tutti gli abitanti di Passo di Treia sono stati richiamati da un fortissimo schianto. Tutti dobbiamo morire, anche gli alberi, e la Quercia di Passo di Treia ha scelto il modo più nobile per uscire di scena. Addio, Regina! Una cosa non ti perdono. Quando sei nata era ancora vivo Michelangelo. Poi hai visto nascere e morire i più grandi uomini della storia: Bernini, Alfieri, Napoleone, Manzoni, Leopardi, Verdi, Einstein… oltre a miliardi di persone più umili; dovevi scegliere proprio il breve arco di questa mia vita, per morire?
Valido Capodarca
(nelle didascalie delle foto è spiegato il meccanismo della sua morte)
Foto 1. Il fusto si è squarciato seguendo la traccia dell’incidente del 1998, quando si era fessurato fino quasi alla base. Se allora aveva resistito in piedi fino all’effettuazione dei lavori di ancoraggio è solo perché aveva le radici ancora sane. Nella foto vediamo adagiato un semifusto. La sua larghezza è di 210 cm; il fatto che la superficie del legno sia scura eccetto l’ultima porzione verso la base, significa che anche se rimesse a contatto dai tiranti, le due parti del tronco non si erano mai risaldate.
Foto 2. L’altro semifusto, invece, si è diviso in tre porzioni, ognuna delle dimensioni del fusto di una grande quercia
Foto 3. L’apparato radicale appare totalmente marcio: un arboricoltore ci dirà il suo parere tecnico
Foto 4. Impressionante è constatare che tutti i rami secondari, nel forte impatto col suolo, si sono frammentati, come se fossero già secchi da tempo (invece, nonostante ciò, la quercia aveva riformato la sua chioma).
La storia:
Ovviamente, appena effettuate le misurazioni e scattate le foto, il discorso con il proprietario non poteva che avere come argomento la quercia. Il proprietario era Palmucci Gino, classe 1921, perciò 59 anni al momento del nostro incontro. Lo vediamo accanto alla sua amata quercia in questa foto. La famiglia Palmucci era in quella casa da molte generazioni; egli stesso era nato in quella casa. Secondo il suo parere la quercia aveva intorno ai 400 anni. Egli la ricordava sempre delle stesse dimensioni, ma anche sua nonna materna, che era entrata nella famiglia Palmucci una sessantina di anni prima, la ricordava sempre molto grande. Non aveva torto, il signor Gino, anzi, si era tenuto basso. Quando, intorno al 2000, la provincia di Macerata mise mano al libro “Alberi Custodi del tempo”, dando l’incarico di redigerlo al Corpo Forestale, l’età di tutti gli alberi che sarebbero stati presenti nel libro venne calcolata dal prof. Bongarzoni con il resistografo, una variante, meno invasiva, del succhiello di Pressler. Vennero contati 450 anelli e la quercia era la più vecchia della provincia di Macerata. Perciò nel 1980 ne aveva già 430. In tutto questo tempo, chissà di quanti episodi sarà stata protagonista o testimone, ma Gino raccontava solo alcuni di quelli cui era stato testimone. Nel 1944, durante il passaggio del Fronte, sotto la chioma della quercia le truppe polacche avevano allestito una officina per la riparazione di automezzi, che vi sarebbe rimasta per un certo tempo anche dopo che il fronte era passato.
Diversi anni dopo la quercia venne colpita da un fulmine che recise un ramo che, ridotto in ciocchi, fornì 20 quintali di legna. “Li vede ora – domandava Gino – che mancano 20 quintali? Beh, la perdita non si avvertiva nemmeno allora”. Un altro incidente era avvenuto quando un incendio si appiccò ad alcun e balle di paglia ammucchiate sotto la chioma. I rami più bassi vennero bruciacchiati, ma la quercia recuperò già alla primavera successiva. A fronte di questi episodi negativi, stavano i successi personali della quercia nei confronti degli organi di informazione. Perfino il programma della TV “A come agricoltura” condotto da Federico Fazzuoli, era arrivato con le sue telecamere dedicandole un servizio. Non erano mancati articoli di giornale. Frequenti erano i curiosi che, transitando sulla strada provinciale venivano colpiti dall’imponenza della pianta e si fermavano per vederla meglio o per farsi una foto. Gino Palmucci, anche perché giustamente orgoglioso della sua quercia, non diceva mai di no.
Ovviamente, quando il mio album di foto di grandi alberi divenne il libro “Marche, 50 alberi da salvare” (2004), la grande quercia di Gino Palmucci occupò un posto di gran rilievo.
Considerazione di Caterina Regazzi: "Qualcuno aveva suggerito di mettere una targa, dove sorgeva la quercia, "a futura memoria". Secondo me sarebbe bene lasciare in loco i resti della roverella come nutrimento e ritorno alla Terra."