Talvolta ho svolto il compito di collaboratrice occasionale di Paolo D’Arpini e reporter nelle varie iniziative comunali di Treia, per esempio l’inaugurazione dell’accademia georgica, giornate Fai, presentazione di libri, visite guidate varie…
Queste occasioni sono imperdibili per le notizie ed i luoghi che normalmente non sono accedibili, rendono le visite particolari e coinvolgenti.
Come giustamente il nostro Sindaco Capponi in una di queste occasioni ha osservato, con la crisi molta gente rinuncia alla vacanza e si rivolge al turismo locale, alle visite mordi e fuggi delle piccole località, e questo deve essere uno stimolo ancora maggiore per valorizzare questi magici luoghi.
La mia teoria è che finora, per colpa di secoli di oppressione, la gente della nostra regione si sentisse indegna alla conoscenza, avesse come paura di alzare la testa e godere di ciò che aveva intorno.
Poi con il boom economico, questa mentalità è stata modificata in “vado in vacanza lontano perchè fa figo” continuando a disprezzare cose meravigliose che ora stanno tornando finalmente alla luce, ed al giusto onore che gli spetta. Guardiamo un francese, un tedesco, che se trovano un mattone rotto in mezzo ad un campo ci piantano un cartellone di 6 metri per 3 e ci portano migliaia di persone con i pullman, noi che basta grattiamo per terra e troviamo delle meraviglie, non facciamo niente…
Dobbiamo rivalutare la nostra terra, recuperare un orgoglio, un senso di appartenenza che cancelli il concetto distorto che abbiamo: ignoranti senza storia, e invece di storia ne abbiamo, eccome, è il nostro giardino segreto, e così dobbiamo trattarla, prendere la chiave, aprire la porta, fare pulizia delle erbacce e riportare questo giardino favoloso al suo originario splendore, e anche di più. Se non ci crediamo noi, come pretendiamo ci credano gli altri? Anche se qui mi devo contraddire, arrivano gli stranieri e sanno tutto, mentre noi non conosciamo la chiesa di fronte casa.
Mi riferisco in particolare all’alto medioevo, avete presente quel periodo che a scuola ci viene sempre detto essere il periodo buio, un momento storico non significativo, non degno di essere studiato, e con poco materiale giunto fino a noi.
Ma allora, come mai dentro di noi, era invece il capitolo del libro che più ci piaceva studiare, e dove fantasticavamo di dame, cavalieri, castelli ?
Perché dentro di noi, nel nostro DNA, sappiamo la verità, che materiale c’è, che quel tempo era veramente fantastico, altrimenti da dove verrebbero quelle arti e mestieri di cui abbiamo ascoltato la testimonianza appassionata e appassionante dagli amici incontrati durante un passato incontro al Circolo Vegetariano:
- abbiamo sentito la storia dell'accademia georgica, e quella più recente della Talea: eccerto, i piceni erano i più fenomenali agricoltori d’Europa.
-Le sibille misteriose, ci riportano alle conoscenze erboristiche per nutrirci e curare le malattie.
-La casa di terra ci rammenta l’abilità di usare ciò che la natura e la terra ci offre per costruire a costo zero e impatto zero, questo per i più poveri.
-I monumenti incredibili per i nostri paesini, ci riportano ad un’abilità unica al mondo nel costruire, e anche una passata immensa ricchezza economica.
-l’arte trovadorica, tutti noi abbiamo avuto un nonno che poteva recitare stornelli in rima per ore,
-l’arte della saponificazione, riscoperta e affinata dopo decenni che nessuno la praticava più,
-l’arte di rilegare e restaurare libri… qui c’è e c’era una forte presenza di ordini monastici: benedettini, francescani, cistercensi… chi se non loro dobbiamo ringraziare per il tramando della cultura?
-la tessitura, con le sue leggende di telai d’oro, andate a vedere il museo a Macerata.
– le musiche indiane, le tecniche di massaggio e meditazione, che non stonano ma si inseriscono perfettamente nel contesto, perché qui c’è stata sempre integrazione e scambio con altre culture, qui vivevano piceni, etruschi, longobardi, e c’erano fiorenti commerci con il mondo orientale…
Concludo con un momento poetico, non inorridiscano i professori, perché quello che sto per leggere è una mia invenzione, voi sapete che non ho basi culturali, non ho nessuna competenza storica.
Durante una passeggiata ho scoperto una piccola scultura antica, la potete ammirare su un muro vicino alla torre di San Marco a Treia, un mio caro amico me l’ha segnalata ed ha pubblicato una foto sul mensile di Macerata "La Rucola".
Siccome sono empatica anche con i sassi, ho immaginato non di essere li sotto a guardarla, ma di essere la chimera stessa e descrivere il suo punto di vista: “Io sono la chimera, animale fantastico immaginato, o visto, o sognato, forse nel vaneggiamento di una febbre, o dopo qualche bicchiere di troppo, sono un misto tra capra, leone, serpente, uccello…fatto sta che sono diventata famosa a simboleggiare le tre stagioni estate, inverno e primavera, in onore di Tinia, il Giove etrusco. C’è chi dice che porto sfortuna, proteggo molti palazzi signorili, giardini, e luoghi sacri. Sono qui da tanto tempo, mi creò uno scalpellino di Apiro, su una lastra di pietra bianca delle cave di Cingoli. Venni posta sul portale di un importante tempio, e incutevo timore e rispetto insieme agli altri fregi, floreali e animali. Poi per colpa di qualche terremoto, rimasi sepolta ed abbandonata sotto le macerie, finché venni recuperata da un muratore sensibile e messa qui, a 4 metri di altezza su questo muro spoglio, dove nessuno mi può rubare, ma nemmeno notare, insomma non mi caga nessuno. Io ho visto tante cose, tante vesti, tanti fuochi, tante stagioni… tu che passi sfrecciando qui sotto con la tua auto, con la tua fretta, la tua indifferenza, tu che credi di aver capito tutto… non sai proprio niente… Solo tu vecchietto, invece, che passeggi intorno alle mura tutte le mattine, e mi saluti alzando il cappello con un simpatico “buongiorno pio bove” dentro di te hai capito che sono ancora viva, più di quei giovanotti che incroci e non rispondono nemmeno al tuo saluto.”
Ma almeno qualcuno prima di me ha ricordato questa chimera, infatti mi giunge notizia che la chimera da me menzionata era già stata citata dal prof. Alberto Meriggi nella sua opera “Storia di Treia” del 1978.
Mi piaceva però raccontare come ho avuto questo libro. Ero poco più che ventenne quando con il mio ex fidanzato ci innamorammo di una casetta vecchia appena fuori Appignano, proprietà conti Milesi, che poi non comprammo più perché contrari i nostri genitori. Andammo dal prof. Luciano Chiappini, noto storico ferrarese, nella sua residenza estiva villa Armaroli, il quale aveva fatto delle ricerche storiche appurando che la casetta era in passato la limonaia della sua villa. In quella occasione saputo che ero treiese, mi disse “ti presto questo libro, ma quando lo avrai letto lo rivoglio perché ci tengo molto”. Il prof Chiappini ci ha lasciato diversi anni fa, e il libro lo conservo gelosamente in sua memoria, per l’argomento e per stima per l’autore.
Simonetta Borgiani
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