venerdì 23 giugno 2023

Treia. Rispettiamo le piante selvatiche...




C'è chi, per amore della Natura e della biodiversità, organizza corsi di riconoscimento delle erbe spontanee che crescono sulle mura del paese.

Mi piacerebbe che anche Treia, oltre che per la bella architettura, posizione geografica, panorama, feste e sagre come quella del bracciale, fosse conosciuta per come viene rispettata la Natura, con le sue erbe spontanee che ci provano a crescere, anche sui muri, oltre che nella campagna circostante, come l'Elicriso, la Cimbalaria muralis, i Capperi, la Piantaggine, la Mordigallina, la Cedracchia, ecc...

Io, nel mio piccolo, nel mio orto giardino urbano, ci provo a lasciarle crescere, con grande gioia di api e farfalle, a volte con qualche difficoltà. Vorrei che facessero una legge secondo la quale, le piante non si possano asportare, se non per un valido motivo (ad esempio per uso commestibile o medicinale).

Le piante ci fanno bene e rallegrano il cuore.

Caterina Regazzi



lunedì 19 giugno 2023

Il sogno agricolo di un contadino maceratese...



... da 15 anni faccio l'agricoltore tra Appignano e Macerata. Di anni ne ho 50.  Non sono un agricoltore normale, nel senso non pratico l'agricoltura convenzionale ma non ho mai nemmeno cercato di avere la certificazione biologica. 

Sento il bisogno  di condividere alcune cose sulla mia esperienza. Quando ho cominciato, senza terra e senza attrezzature - tutto in prestito o in affitto, facevo solo orticoltura. Volevo provare a mantenerci la famiglia e l'orto un po' lo sapevo fare ed era remunerativo (molto relativamente parlando). L'ho fatto per dieci anni e poi mi sono trasferito di qualche chilometro, in collina, perchè volevo fare l'agricoltore e non solo l'orticoltore.

L'orticoltura è diventata quindi una parte di un'agricoltura più complessa, più ricca e credo anche più giusta e che amo profondamente, mi realizza, mi fa sentire al posto mio. Credo che sia un privilegio tale da meritare  fatiche e rinunce personali che infatti non vivo come tali. Insomma sto bene. 

In questi anni ho potuto fare esperienza diretta e indiretta e sono giunto ad una conclusione di carattere generale: in un sistema dominato dall'agricoltura industriale, chi pratica un'agricoltura non industriale non riesce ad avere un reddito simile a quello di un dipendente poco qualificato. Il suo reddito è più basso. 

So che esistono luminose eccezioni che credo però non facciano che confermare questa regola generale. Io comunque non ne farei un dramma. Basta saperlo. 

Se fai il contadino hai anche uno stile di vita molto frugale e in fondo sei povero quando ti senti povero e poi sei sempre in una parte del mondo vergognosamente e ingiustamente ricca. Devi anche e soprattutto mettere in conto  che in un certo senso imponi ai figli una vita che gli altri per lo più non condividono. A me pare che stiano bene ma questa cosa comunque c'è. Anche questo bisogna saperlo. 

Detto tutto ciò (e chiarito che mia moglie non lavora con me e ha un reddito diverso e aggiuntivo che generosamente condivide) mi domando se non esista più di qualcun'altro nella mia stessa condizione, cioè un contadino un po' povero che si sente bene nei suoi panni. Se così fosse allora sarebbe più semplice avere il coraggio necessario ad andare avanti, facendo  scelte magari prudenti ma comunque orientate al futuro. 

Mi rendo conto che come manifesto politico fa un po' acqua da tutte le parti e soprattutto che le comunità non si inventano nè si programmano a tavolino, ma sento comunque il bisogno di dire questa cosa e se qualcuno vorrà rispondere tanto meglio. 

R. M. (Via Seminasogni)



Mia rispostina: Caro R.M., faccio parte anch'io del Seminasogni. Abito a Treia ed ho pensato di condividere la tua lettera poiché in parte ho vissuto anch'io il tuo sistema di vita, anche se saltuariamente e parzialmente. Il 24 giugno 2023 con altri amici di Treia  e della provincia di Macerata  organizziamo un incontro che potrebbe interessarti. Se vuoi puoi partecipare anche tu.  Qui il programma: http://bioregionalismo-treia.blogspot.com/2023/06/treia-24-giugno-2023-incontro.html

(Paolo D'Arpini)




sabato 3 giugno 2023

Viaggio a Treia - Notizie storiche sul luogo...




Andare a Treia? No problem...  basta offrire un po' di sana pubblicità, sperando che la voglia di "viaggiare" insita dentro ciascun libero "esploratore" di questo nostro splendido Universo, si lasci catturare amichevolmente dalle mie parole, rivolte, con immenso piacere, alla piccola e speciale cittadina di Treia!
La Storia:
380 a.C. circa, il primo insediamento, ad opera dei Piceni o dei
Sabini, è lungo un ramo della via Flaminia a circa due km dall’attuale
centro storico. Il luogo diventa colonia romana e prende nome da
un’antica divinità, Trea.

II sec. a. C., Treia diventa municipio romano.
X sec. (inizio), gli abitanti della Trea romana, per sfuggire ai
ripetuti saccheggi, individuano un luogo più sicuro sui colli e
costruiscono il nuovo borgo che prende il nome di Montecchio, da
monticulum, piccolo monte.

XIII sec., Montecchio si dota di un sistema difensivo comprendente una
possente cinta muraria e si allarga fino a comprendere tre castelli
edificati su tre colli, Onglavina, Elce e Cassero. Nel 1239 è
assediata dalle truppe di Enzo, figlio naturale di Federico II, e nel
1263 da quelle di Corrado d’Antiochia, comandante imperiale che viene
catturato dai treiesi.

XIV sec., Montecchio passa alla signoria dei Da Varano e poi a
Francesco Sforza.
1447, posta dal Pontefice sotto il controllo di Alfonso d’Aragona,
Montecchio viene in seguito ceduta da Giulio II al cardinale Cesi, e
da allora segue le sorti dello Stato della Chiesa.
1778, si apre la prima sezione pubblica dell’Accademia Georgica dei
Sollevati, importante centro culturale ispirato ai principi
dell’Illuminismo.
1790, il Pontefice Pio VI restituisce al luogo l'antico nome di Treia,
elevandolo al rango di città. Il mistero dell’infinito...
Mura turrite che evocano il Duecento, ma anche tanti palazzi
neoclassici che fanno di Treia un borgo, anzi una cittadina, rigorosa
ed elegante, arroccata su un colle ma razionale nella struttura.
L’incanto si dispiega già nella scenografica piazza della Repubblica,
che accoglie il visitatore con una bianca balaustra a ferro di cavallo
e le nobili geometrie su cui si accende il colore del mattone. E
questo ocra presente in tutte le sfumature, dentro il mare di verde
del morbido paesaggio marchigiano, è un po’ la cifra del luogo. La
piazza è incorniciata su tre lati dalla palazzina dell'Accademia
Georgica, opera del Valadier, dal Palazzo Comunale (XVI-XVII sec.) che
ospita il Museo Civico e dalla Cattedrale (XVIII sec.), uno dei
maggiori edifici religiosi della regione. Dedicata alla SS.
Annunziata, è stata costruita su disegno di Andrea Vici, discepolo del
Vanvitelli, e custodisce diverse opere d’arte tra cui una pala di
Giacomo da Recanati. Sotto la panoramica piazza s’innalza il muro di
cinta dell’arena, inaugurata nel 1818 e poi dedicata al giocatore di
pallone Carlo Didimi.

Da Porta Garibaldi ha inizio l’aspra salita per le strade basse, un
dedalo di viuzze parallele al corso principale e collegate tra loro da
vicoli e scalette. Qui un tempo avevano bottega gli artigiani della
ceramica. Continuando per la circonvallazione, a destra la vista si
apre su un panorama di campi rigogliosi e colline ondulate. L’estremo
baluardo del paese verso sud è la Torre Onglavina, parte dell’antico
sistema fortificato, eretta nel XII secolo. Il luogo è un balcone
sulle Marche silenziose, che abbraccia in lontananza il mare e i monti
Sibillini.

Entrando per Porta Palestro si arriva in piazza Don Cervigni, dove a
sinistra risalta la chiesa di San Michele, romanica con elementi
gotici; e di fronte, la piccola chiesa barocca di Santa Chiara con la
statua della Madonna di Loreto: quella originale, secondo la
tradizione. Proseguendo per via dei Mille, si attraversa il quartiere
dell’Onglavina che offrì dimora a una comunità di zingari, al cui
folklore si ispira in parte la Disfida del Bracciale. Dalle vie Roma e
Cavour, fiancheggiate da palazzi eleganti che conservano sulle
facciate evidenti tracce dei periodi rinascimentale e tardo
settecentesco, e denotano la presenza di un ceto aristocratico e di
una solida borghesia, si diramano strade e scalinate. Nell’intrico dei
palazzi, due chiese: San Francesco e Santa Maria del Suffragio. E tra
di esse, un curioso edificio: la Rotonda. Nei pressi, la casa dove
visse Dolores Prato, ricordata da una lapide, e il Teatro Comunale,
inaugurato il 4 gennaio 1821 e dotato nel 1865 di uno splendido
sipario dipinto dal pittore romano Silverio Copparoni, raffigurante
l’assedio di Montecchio. Il soffitto è decorato con affreschi e motivi
floreali arricchiti nel contorno da ritratti di letterati e musicisti;
la parte centrale reca simboli e figure dell’arte scenica

Si può lasciare Treia uscendo dall’imponente Porta Vallesacco del XIII
secolo, uno dei sette antichi ingressi, per rituffarsi nel verde.
Resta da vedere, in località San Lorenzo, il Santuario del Crocefisso
dove, sul basamento del campanile e all’entrata del convento, sono
inglobati reperti della Trea romana, tra cui un mosaico con ibis. Qui
sorgeva l’antica pieve, edificata sui resti del tempio di Iside. Il
santuario conserva un pregevole crocefisso quattrocentesco che la
tradizione vuole scolpito da un angelo e che, secondo alcuni, rivela
l’arte del grande Donatello.
Antonella Pedicelli 


 




Articolo tratto dal libro "Treia: storie di vita bioregionale" di Paolo D'Arpini reperibile presso la biblioteca Auser Treia. Info: 0733/216293