mercoledì 5 ottobre 2016

La riscoperta della comune appartenenza alla vita come chiave d'accesso alla comunità ideale


Risultati immagini per treia Giù la piazza non c'è nessuno

A volte  mi sembra che  anche in una piccola comunità come questa di Treia  la separazione e lo scollamento sociale si manifestino con chiara evidenza…  La comunità locale sembra aver perso la capacità di esprimere solidarietà e collaborazione.

Ciò avviene persino fra compaesani, persino fra parenti più o meno stretti. Perciò è evidente che lo “straniero”  sia addirittura visto come un invasore e questo comporta un allontanamento  continuo fra i membri della comunità. 

Come si può in tal modo costruire una società umana decente? Mentre non si riconosce più nemmeno un membro della famiglia come nostro proprio come possiamo accettare ed accogliere chi non conosciamo,  o pensiamo di non conoscere?

Abito qui a Treia dal 2010 eppure, malgrado faccia di tutto per integrarmi nella comunità, addirittura avendo fondato un comitato con queste finalità "Treia comunità ideale", spesso ho la sensazione di essere percepito come un "alieno". Non nascondo che leggendo il libro di Dolores Prato,  sulla sua infanzia a Treia, sentivo la stessa cosa, il suo senso di etraneazione, il rifiuto della sua persona. Quella bambina non era accettata dalla comunità e mi meraviglio che oggi Dolores Prato, da morta,  sia stata presa a simbolo di Treia. Lei che da Treia era stata sempre scansata e questo   lo scrisse senza alcun pudore nel suo "Giù la piazza non c'è nessuno". 

« Sono nata sotto un tavolino. Mi ci ero nascosta perché il portone aveva sbattuto, dunque lo zio rientrava. Lo zio aveva detto: «Rimandala a sua madre, non vedi che ci muore in casa?». Ambiente non c'era intorno, visi neppure, solo quella voce. Madre, muore, nessun significato, ma rimandala sì, rimandala voleva dire mettila fuori della porta. Rimandala voleva dire mettermi fuori del portone e richiuderlo. »

Viviamo in un mondo di stranieri e noi stessi siamo stranieri in questo mondo. Eppure  con l'ampliamento degli orizzonti culturali  si presupponeva che  il concetto di comune appartenenza alla comunità umana divenisse un dato acquisito, una realtà. Purtroppo non è andata così, la mancanza di coesione, anzi lo scollamento, in questa  società cosmopolitana e consumista, è ormai evidente.

A volte può accadere che anche in una piccola città, come Treia, la gente vive nello stesso palazzo e talvolta nemmeno si saluta né si interessa dei propri vicini, ognuno è estraneo all’altro. Magari per ripicche stupide, per piccole differenze d'interpretazione sulle cose comuni.   
Ecco il “contesto civile” nel quale ci siamo smarriti.

Ritengo comunque che, per una opposta tendenza compensativa, allorché  il bisogno di collaborazione si farà più forte,  succederà che questa “separazione” sfocerà necessariamente nel ri-accostamento dell’uomo verso l’uomo.
 
In fondo quanto possiamo separarci da noi stessi senza perire? Ecco infine che l’allontanamento si trasformerà in avvicinamento…
Succederà, ne son certo,  anche nella chiusa mentalità bigotta di paese, per via della  necessità di sopravvivenza, che  nuove forme di equilibrio, più radicate nella coscienza della comune appartenenza alla vita, troveranno espressione. Un ri-avvicinamento alla coscienza universale. Infatti il senso di comune appartenenza porta alla condivisione del criterio di vita, ad atteggiamenti simbiotici e ad uno stato di coscienza comunitario. L’evoluzione spirituale  lo richiede. 

Separazione è solo un concetto per giustificare degli “indirizzi” personalistici ed egoici, è una frattura radicale che spacca il mondo e l’essere in due. Il diritto di abitare nel “condominio” di cui ci riteniamo proprietari originari, non può essere codificato dalla nascita, dall’etnia o dalla condizione economica, etc. bensì dalla capacità di rapportarsi al luogo in cui si vive in sintonia con l’esistente.

Perciò il passo primo da compiere, per il “Ritorno alla Casa di Tutti”, è l’accettazione delle differenze, viste come fatti caratteriali che al massimo (in caso di persistente negligenza morale) possono essere ‘curate’ allo stesso modo di una idiosincrasia/malattia interna.

Non passerà molto tempo -mi auguro- che le divisioni artificiali operate dalla mente speculativa scompariranno completamente ed al loro posto subentrerà un nuovo spirito di fratellanza, partendo dal presupposto delle reali somiglianze e della coesistenza pacifica.

Queste somiglianze renderanno l’uomo capace di capire il suo prossimo, in piena libertà, e di amarlo come realmente merita. Tutti abitanti dello stesso luogo, tutti a casa!


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