Essendo vissuto per moltissimi anni in un contesto urbano (sono nato e vissuto a Roma ed ho anche abitato a Verona per diversi anni), ed avendo anche tentato un esperimento di ri-abitazione di un piccolo borgo abbandonato, Calcata, con conseguente tentativo di ricostituire o -perlomeno- avviare un processo di comunità ideale (non so con quale successo...), posso affermare che massimamente il mio procedere "bioregionale" si è svolto in un ambito sociale "cittadino". Ma attenzione, essere un cittadino non significa abitare in città bensì vuol dire riconoscersi in un "organismo" di civiltà umana.
La parola "Bioregionalismo" descrive un modo di vivere che fa parte della storia della vita sul pianeta ed ha contraddistinto tutte le civiltà umane (sino all'avvento dell'industrializzazione selvaggia e del consumismo). Diciamo che il vivere "bioregionale" denota un comportamento che sorge dall'esigenza profonda di allacciare un rapporto sacrale con la terra e con tutti i suoi abitanti, animali e piante compresi. Questo rapporto si conquista partendo dalla volontà di capire e sentir proprio -riabitandolo- il luogo in cui viviamo.
Una bioregione infatti non è un recinto di cui si stabiliscono definitivamente i confini ma una sorta di campo magnetico (aura - genius loci) distinguibile dai campi vicini solo per l'intensità delle caratteristiche che formano la sua identità, alla stessa stregua degli esseri umani, contemporaneamente diversi e simili l'uno all'altro.
Il vantaggio di vivere in una comunità come Treia, abbastanza grande da consentire discreti rapporti relazionali, e non separata dalla natura che la circonda, risulta nella capacità di ogni suo abitante di poter condividere habitat, cultura e conoscenze, un modo ottimale per poter garantire alla comunità un "animus" collettivo.
Questo vuole essere anche l'esperimento portato avanti dal nostro Comitato Treia Comunità Ideale.
Paolo D'Arpini
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