Il 1 ottobre 2017 a Treia
è stato un bel giorno, in cielo splendeva il sole, la mattina una
coppia di amici sono venuti a trovarmi per raccogliere le olive verdi
di San Francesco da fare in salamoia. Infatti è un bene avere 4
alberi di olivo nell'orto sotto casa così si può far provvista per
l'inverno.
Il pomeriggio in città si svolgeva un evento culturale
in onore di Dolores Prato, la manifestazione organizzata dal Comune
prevedeva alcune performances nei luoghi che videro la presenza della
scrittrice, drammatizzate dal bravo Carlo Vitali e dal suo
gruppo teatrale. Seguiva al Teatro Comunale, alla presenza del
sindaco Franco Capponi e del vice-sindaco Edi Castellani, la
presentazione del libro di Stefania Severi: “Gatto, misterioso
quanto il destino”, opera ispirata agli scritti di Dolores Prato su
questi magici felini. Verso le 19.00 si è tenuta l'inaugurazione di
una sala, sempre all'interno del Teatro, dedicata alla ricerca
storiografica ed alla memoria della scrittrice che ha qualificato
Treia.
Il Centro Studi, situato a fianco del Foyer, è corredato di
alcune immagini storiche dell'autrice e di alcuni reperti posti in
teche di vetro. L'evento è stato molto seguito dalla popolazione
treiese che è accorsa numerosa attardandosi sia nelle adiacenze del
teatro che nell'ingresso dove era servito un aperitivo finale. Ho
notato fra gli altri la presenza di diversi esponenti della cultura
locale, come ad esempio Alberto Meriggi, Maurizio Angeletti, Fernando
Pallocchini, tanto per nominarne qualcuno conosciuto.
Ma a questo
punto alcune mie riflessioni personali sulla figura di Dolores Prato
sono necessarie per poter inquadrare il personaggio con gli occhi di
un “treiese aggiunto”, come d'altronde fu la scrittrice stessa,
figlia illegittima di una nobildonna, nata a Roma e successivamente
affidata ad uno zio prete di origine emiliana che officiava a Treia.
Il periodo trattato è situato all'inizio del XX secolo, quando la
città di Treia era ancora densamente abitata nel suo centro storico
e dove la vita aveva ancora il sapore di una ruralità e di una "perifericità" culturale diffusa.
L'adolescente Dolores mano nella mano con la suora
Treia, un centro dell'entroterra
maceratese, a quel tempo non brillava certo per esperimenti all'avanguardia
sociale, la tradizionale mentalità di una comunità chiusa in se
stessa fu l'habitat in cui Dolores visse la sua infanzia e
giovinezza, che poi successivamente durante la senilità, al suo ritorno a Roma, fuoriuscì in forma di “pizzini”, brevi
memorie di eventi vissuti, che riempirono pagine e pagine fitte fitte
scritte a mano e che successivamente divennero il materiale
editoriale del suo libro più famoso “Giù la piazza non
c'è nessuno”.
Questa non è Dolores Prato
E qui notiamo la prima nota dolente, per motivi
“d'immagine” l'editore Quodlibet, mise in copertina la foto di
una giovane collega di collegio della Prato, più appariscente e graziosa della
piccola e scura e grassottela Dolores. Ebbi la pazienza ed il piacere di leggere pian piano, gustandolo come un grosso frutto in maturazione continua, questo voluminoso tomo di memorie, spesso farcito di ricordi
rivisitati in più salse, con diverse attitudini e sensazioni.
Treia - Foto storica dei primi del '900
Il libro in verità
descrive la sua ammirazione per la struttura architettonica e per
l'habitat che circonda Treia ma lascia trasparire il malessere di
una giovinetta che si sente estranea al contesto sociale in cui
vive, soprattutto in seguito alla diffusa emarginazione da lei
patita, in quanto “straniera” e “figlia della colpa”. Ben
poche furono le persone dalle quali si sentì amata, lo zio prete che
imparò a volerle bene solo con gli anni ed una vecchia fantesca che
per averla baciata ed abbracciata le attaccò le verruche. Solo i più
poveri ed i più derelitti sembrava avessero pietà per quella bambina
fuori posto, magari accogliendola al loro misero desco davanti ad un
piatto di polenta scondita, che lei però mangiava con gusto, perché
simbolo di affetto e di accettazione.
Per avere un'idea della
profondità psicologica delle emozioni vissute da Dolores Prato a
Treia l'unico consiglio che posso dare è quello di leggersi il suo
libro, se non avete timore della commozione che ispira.
E poi mi son chiesto come
mai questa donna, che ha descritto la società in cui visse,
perlopiù tristemente, salvo rari sprazzi di gioia infantile
immotivata, è stata poi presa a simbolo di Treia? Dopo
la pubblicazione del libro la sua salma, sepolta anonimamente al
cimitero di Roma, fu traslata nel camposanto di Treia con sopra una
bella tomba scultorea ed una dedica. Post mortem ha
avuto tutti i riconoscimenti, compreso quello di essere definita una
“vera” treiese, onore che in vita non le fu concesso. Negli
ultimi anni, da quando abito in città, ho assistito ad un continuo
crescendo di manifestazioni e di eventi in suo ricordo ed il 1 ottobre
2017, con la costituzione di questo “centro studi” al Teatro comunale,
una sorta di tempio laico alla memoria, ho avuto l'impressione
che sia stato raggiunto un climax. Una sorta di “beatificazione”
postuma e di accoglienza senza remore. In fondo sono riconoscente
alla vicesindaco, Edi Castellani, per aver promosso questo processo
di integrazione e riassorbimento nella comunità della -allora- negletta Dolores
Prato.
Paolo D'Arpini
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