mercoledì 31 gennaio 2018

"Qualità elementali ed aspetti psicosomatici delle piante bioregionali"

Mentre  scrivo questo discorso sulle qualità delle piante bioregionali mi è tornato alla mente il lungo percorso di conoscenza compiuto da innumerevoli generazioni di ricercatori botanici ed esperti in medicine tradizionali, un percorso che a volte è durato millenni e si è svolto nel più semplice dei modi, attraverso un “dialogo” con le piante ed i continui esperimenti ed osservazioni sulle loro proprietà. Talvolta queste scoperte erboristiche hanno assunto anche la forma di analisi comparate tra gli influssi psichici e fisici che tali proprietà possono avere sui vari organi. Magari partendo dai collegamenti e somiglianze fra le cinque capacità percettive (i sensi) ed i cinque elementi che contribuiscono alla formazione degli organismi, corpo umano compreso. 
Ricordo molto bene, allorché mi avvicinai per la prima volta alla conoscenza delle piante, quelle descrizioni popolari che sancivano direttamente o indirettamente come l’aspetto delle piante e le loro qualità elementali, (percepite per mezzo dei sensi e della psiche) influissero specularmente sulle funzioni del corpo umano. In natura tutto segue uno schema di corrispondenze. Potremmo affermare che ogni forma vivente assume aspetti psicosomatici che corrispondono alle qualità incarnate. Questo fatto era noto sin dalla più remota antichità, all’uomo ed agli animali. Infatti confidando nella innata comprensione essi si curavano sentendo attrazione o repulsione per certe specifiche piante o alimenti.
Questa naturale pre-conoscenza è stata alquanto offuscata dal momento che l’uomo ha preferito seguire un metodo limitatamente scientifico che, essendo imperfetto data la natura stessa dei mezzi utilizzati, nel corso del tempo ha impedito la continuità di questa innata pre-conoscenza.
Pian piano l’uomo scientifico, per mezzo della sperimentazione in laboratorio, ha tentato di ricostruire un sistema di conoscenza che però –tutto ritorna infine- oggi si scopre sempre più affine alla conoscenza connaturata degli antichi. Con la differenza che la scienza farmacologica industriale utilizza quella ricerca popolare, selezionando alcune specifiche piante per poi ricavarne medicinali che vengono brevettati e posti in vendita a prezzi altissimi, con la sola aggiunta di uno o due eccipienti a tutela del proprio brevetto. Compiendo così un vero e proprio atto di “bio-pirateria” sia intellettuale che materiale.
Ma il viaggio a ritroso verso la riscoperta di ciò che era ovvio empiricamente può almeno essere confermato dalla analisi scientifico-medica. Una pietra miliare di questa riscoperta è la individuazione degli oligo-elementi le cui tracce sono presenti ovunque nel regno vegetale ed animale. Un’importante parte in questo processo di identificazione fu compiuto dal bolognese Meneghini che nel 1745, in pieno secolo dei Lumi, scoprì la presenza di ferro nel sangue umano. Poi nel 1775 Schelle individuò il manganese nelle ceneri vegetali e da allora la lista degli oligo-elementi non ha fatto altro che crescere. Nell’uomo ne sono stati individuati una ventina, essi risultano indispensabili all’equilibrio fisiologico ed ogni carenza in uno di questi comporta manifestazioni patologiche più o meno gravi.
“L’organismo appare come un tipo di oligarchia in cui un’enorme massa di elementi passivi è dominata da un piccolo numero di elementi catalizzatori” (Gabriel Bertrand)  Gli oligo-elementi infatti presiedono agli indispensabili processi catalitici degli scambi di cui il nostro organismo è la sede permanente.  Da ciò si può intuire l’importanza degli oligo-elementi  nei fenomeni biologici avvalorata dalle funzioni vitaminiche ad essi collegati.
Ma torniamo alla conoscenza che ha consentito agli esseri viventi il mantenimento della struttura psicofisica in euritmia.
E qui dobbiamo iniziare un discorso che avrebbe dell’eretico se volessimo ragionare solo in termini di analisi scientifica. Nell’antichità –sotto forma di proverbi e detti popolari- sono stati tramandati alcuni “segreti” sulle qualità delle piante, Purtroppo in Europa in seguito alla grande persecuzione legata all’oscurantismo religioso molti di questi segreti e parecchi liberi pensatori finirono in cenere… Perciò molti “saperi” scomparvero o vennero travisati e contorti. Ciononostante in varie parti del mondo restò la preveggenza, sia a livello istintuale sciamanico (come nel caso delle tribù primitive dell’Amazzonia che conoscono tutte le qualità delle loro piante) sia a livello di tradizioni popolari più o meno  valide. In questo contesto si inserisce la  classificazione delle piante e delle loro qualità sulla base del colore, del sapore e della forma…
Questa descrizione psicosomatica –ad esempio- è tutt’ora eseguita nel sistema integrato cinese in cui psiche e natura sono considerate strettamente interconnesse. Questi stessi aspetti sono per altro utilissimi nell’individuazione delle carenze di oligo-elementi.
Altrettanto valida è anche la macrobiotica ma tali conoscenze non scarseggiano nemmeno nella tradizione erboristica nostrana. Secondo la tradizione popolare la forma il colore ed anche il sapore delle piante che spontaneamente crescono nella propria bioregione di appartenenza sono correlati ed interagiscono con gli organi cui esse corrispondono. Ad esempio la noce, che assomiglia al cervello umano, è correlata ed influisce positivamente con questo organo. Oppure la coda cavallina (che ricorda la coda dell’equino) è raccomandata per le carenze di minerali. Poi scopriamo che le foglie della polmonaria (somiglianti visivamente a questi organi) vengono raccomandate dai contadini come anti-asmatico, oppure lo stramonio (una pianta psicotropa detta anche erba del diavolo) con i suoi fiori osceni e cavernosi è abbinato ai mali della psiche… Insomma tutto corrisponde al tutto e per essere in buona salute gli organi del corpo umano debbono mantenere un equilibrio funzionale interno e rapportarsi armonicamente gli uni con gli altri e perciò si dice che la forma, il colore ed il sapore delle piante rimandano all’organo sul quale agiscono.
Nella tradizione cinese si fa un preciso  riferimento ai colori ed agli organi. I cibi di colore verde sono collegati al fegato (legno), quelli di colore rosso agiscono sul cuore e sulla vista (fuoco), i gialli (terra) su stomaco, milza e pancreas, i bianchi (metallo) sui polmoni ed infine quelli blu scuro o nero (acqua) espletano un’azione sui reni. Ed anche i sapori hanno  una forte influenza sulle funzioni fisiologiche. Il sapore acido è astringente quindi in grado di sciogliere i blocchi che ostruiscono la circolazione dei liquidi interni. Il dolce rilassa, armonizza e porta energia. Il piccante mobilizza l’energia, esteriorizza i liquidi ed è considerato ottimo contro le malattie da raffreddamento. Il salato è emolliente, scioglie noduli e masse.
Questo è solo un piccolo input per approfondire la memoria spontanea di ciò che è sempre stato e sempre sarà. Quella conoscenza –o pre-conoscenza- che consente spontaneamente alla vita di procedere per il suo giusto verso.
Una definizione sul significato di “catalizzatore”. Secondo Polonovsky “i catalizzatori sono sostanze che con la loro semplice presenza, senza alcuna partecipazione attiva, causano reazione che senza di loro non si sarebbero prodotte..”
Negli ultimi decenni con l’impoverimento dei terreni e delle colture trattati con fertilizzanti chimici, insetticidi, fungicidi ecc, i prodotti vegetali risultano enormemente impoveriti dei loro componenti nutrizionali e questo può portare a delle carenze in coloro che si nutrono di prodotti convenzionali. La cottura degli alimenti poi contribuisce ulteriormente alla perdita di vitamine e minerali. Così succede che molti ricorrano ad integratori alimentari convinti di arginare il problema, cadendo dalla padella nella brace perché gli integratori di sintesi, come afferma una recente ricerca, non solo risultano inutili ma aumentano del 16% la possibilità di contrarre malattie. La soluzione migliore è quella di ricorrere alle erbe raccolte in luoghi inaccessibili, dove, pur considerando l'inquinamento atmosferico generale, almeno non vi saranno veleni sparsi per l'agricoltura.
Una dieta troppo ricca di alimenti altamente energetici, in particolare prodotti industriali, è strettamente correlata a un aumento del rischio di sovrappeso e obesità; queste condizioni aumentano il rischio di cancro e di numerose altre patologie croniche. Anche le bevande dolci hanno un ruolo cruciale nell’aumento del peso, soprattutto se consumate con regolarità: questo effetto negativo non è dato soltanto dall’apporto calorico, bensì dalla loro incapacità di saziare portando a un consumo smodato. Non tutti gli alimenti ricchi di calorie sono deleteri per la salute, un classico esempio è rappresentato dalla frutta secca che, se consumata in quantità adeguata, è in grado di incidere positivamente sullo stato di salute poiché ricca di fibra, grassi salutari, micronutrienti e fitocomposti.
 Focus: Per “alimenti ad alta densità energetica” si intendono i cibi che contengono un elevato apporto calorico in un piccolo volume: la maggioranza delle calorie fornita da questi alimenti è data da grassi e zuccheri, quindi il consumo contribuisce all’aumento del peso corporeo. Molti di questi alimenti non forniscono composti utili all’organismo come vitamine, sali minerali e polifenoli, risultano soltanto dannosi per la salute: a causa di questo scarso valore nutrizionale le loro calorie sono soprannominate “calorie vuote”.  Riconoscere questi alimenti è molto semplice, in generale sono prodotti che hanno subito diverse lavorazioni e raffinazioni, sono poveri di acqua e fibre e ricchi di grassi e/o zuccheri. Dolciumi, biscotti, merendine, snacks al cioccolato, patatine, salse da condimento sono esempi di alimenti altamente energetici. Tra le bevande zuccherate sono compresi i succhi di frutta e le bevande gassate.
In generale frutta e verdura, essendo ricche di acqua e fibra, hanno un apporto calorico basso e, soprattutto quando consumate con varietà, rappresentano un’importante fonte di vitamine, sali minerali e altre molecole benefiche chiamate fitocomposti. Le piante selvatiche  contribuiscono all’apporto di fibra  e di sostanze elementali che i vegetali coltivati non contengono più. La frutta secca e i semi oleosi sono veri e propri concentrati di micronutrienti e grassi salutari, benefici per il sistema cardiovascolare, mentre le erbe aromatiche e le spezie sono utili per arricchire la dieta di sapori naturali e vitamine e sali minerali.
Paolo D’Arpini 

venerdì 26 gennaio 2018

La mia pasta madre ed il buon pane fatto in casa


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Vi  racconto come  va con la mia pasta madre. E' un po' cambiata da quando ho iniziato a farmi il pane in casa (2013). Quella che usavo all'inizio si era un po' "spompata" e l'ho sostituita, ma credo che dovrò andare a lezione da una qualche brava panificatrice- panificatore per avere i concetti base per produrmela e mantenerla in buona salute. 

E' densa e ne tengo in frigo sempre circa 2 etti. La tengo in frigo anche 1 settimana senza rinfrescarla. Il giorno prima di fare il pane faccio il rinfresco ed io faccio così: la tiro fuori dal frigo, nel suo contenitore, un vasetto di vetro col coperchio a pressione, forse un po' piccolo. 

Per rinfrescarla ci aggiungo un paio di cucchiaini di farina e altrettanta acqua tiepida e mescolo bene. Lascio fuori dal frigo 3 o più ore sperando di vedere qualche timida bollicina. Se il quantitativo totale non è sufficiente per la panificazione, ripeto l'operazione una o due volte.

Se non faccio il pane per più di una settimana faccio un altro rinfresco (che male non fa) anche senza dover fare il pane. Se sono in vacanza e non me la sono portata dietro lo faccio fare a mia figlia.Io non ho mai esuberi, non ho mai capito cosa che leggo in vari gruppi e blog, il problema dell'esubero e di come utilizzarlo. 

Per fare il pane prendo circa 100 g. di P.M., 600 gr. di farina, di solito metà 0 metà integrale, ma a volte ne metto anche un po' di castagne, di mais, o in proporzioni diverse, 250 ml di acqua tiepida e un cucchiaino di miele e un giro d'olio extra vergine di oliva.

Impasto aggiungendo se necessario un po' di farina (se appiccica) e lascio riposare per un paio d'ore. Poi reimpasto tutto, aggiungo semi di girasole, di lino, di zucca ecc. ecc. faccio la pagnotta e lascio lievitare almeno 3 ore, ma anche tutta la notte. In questo caso appena mi alzo, accendo il forno a 210 gradi e quando è in temperatura inforno, dopo 10 minuti abbasso a 190 gradi. La cottura in totale mi dura 45 minuti circa. Spengo il forno, sforno e metto la pagnotta sul tagliere di legno coperta con dei panni perchè continui la cottura all'interno. Lo mangio

Che vi devo dire: non sono una gran cuoca né una brava impastatrice, ma trovo questo rito veramente piacevole! 
Anzi, vado subito a fare un rinfresco!

Caterina Regazzi


giovedì 25 gennaio 2018

Anzianità e salute. La vera cura è "uscire" all'aria aperta....


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Parlando con persone di età matura sento sempre più spesso raccontare di problemi di salute che si cerca di superare con le terapie tradizionali ma anche con tante terapie alternative: agopuntura, fiori di Bach, massaggi di vario tipo, omeopatia, fitoterapia, ecc. ecc. 

E' pur vero che queste terapie alternative magari rispettano di più l'organismo, sono più "leggere" e meno invasive, meno apportatrici di elementi di tossicità nell'organismo che ha bisogno di essere "aggiustato", ma perché l'uomo di oggi ha bisogno di tanti rimedi tradizionali o alternativi per stare in buona salute, o per meglio dire, per cercare di ritrovare uno stato di benessere psicofisico che abbiamo perso? 

Non sarà il caso di ritornare ad uno stile di vita più naturale? 

Questo computer su cui sto scrivendo è efficiente perché mi consente con pochi click di arrivare a tante persone che bontà loro forse mi leggeranno o forse, annoiate dalle prime frasi, passeranno oltre. Ma stare qui, con la schiena un po' curva e le dita a tamburellare non mi provocheranno alla fine disturbi alla colonna vertebrale, alle mani, agli occhi, mentre una sana passeggiata in compagnia avrebbe giovato alla mia salute e a quella di chi sarebbe stato con me, cercando di camminare in qualche luogo distante dal traffico, con un'aria perlomeno decente e muovendo quei muscoli che ormai sono in disuso. 

Usciamo di nuovo all'aria aperta, anche se è freddo, mangiamo cose semplici e sane, beviamo acqua pura, ascoltiamo e cantiamo note soavi, pensiamo positivamente e immaginiamo un mondo a colori, vivo, odoroso, brulicante di vita e amore. Immaginare è già un primo passo...

Caterina Regazzi

martedì 16 gennaio 2018

Chiesanuova di Treia, 20 gennaio 2018 – Si festeggia sant’Antonio, lu nemico de lu dimonio... ma amico dell'animali...



Con la  ricorrenza di  Sant’Antonio, lu nemico de lu demonio nonché protettore degli animali,  inizia ufficialmente anche il carnevale. Sul calendario la data indicata è il 17 gennaio e da  questo giorno  fino alla domenica successiva in molti paesi e città i nostri amici animali vengono accolti sul sagrato delle chiese e lì benedetti. Questa tradizione è portata avanti anche a Chiesanuova di Treia, dove il nostro attivissimo Don Peter Paul ha organizzato per il 20 gennaio 2018 una manifestazione speciale. 
Tutti gli animali e i loro "compagni umani" sono invitati alla benedizione di S.Antonio presso la chiesa di Chiesanuova di Treia.
ORE 14:30
Per i più pigri il ritrovo è alle 14:15 alla chiesa del paese, per i più audaci sarà possibile partecipare alla Passeggiata di S.Antonio!

Programma del  20 Gennaio 2018:
- 11.30/12.00 ritrovo presso Silvibar camporota di Treia
- 12:00 merenda/pranzo e vin brulè (al fine di evitare disservizi, per mangiare sarebbe meglio contattare il numero 3477725899, Silvana. Comunicare se vegetariani).... il vin brulè sarà offerto dall'Armata Brancaleone.
13:00 partenza per Chiesanuova di Treia
14:30 arrivo alla chiesa e Benedizione da parte di Don Peter Paul
15:00 partenza per Camporota
17:00 arrivo a Camporota 
17:15 falò di S. Antonio (per festeggiare il risveglio della natura!)
Alcune memorie: 
Una volta  il prete stesso  andava per le campagne a irrorare di acqua santa: mucche, capre, asini, maiali, etc. Ora perlopiù ci si limita a cani e gatti. Difatti il nostro rapporto con gli animali si è molto selezionato. Gli altri animali sono tutti rinchiusi negli allevamenti (da carne e da latte) mentre i cani e gatti sono  sdraiati sui divani e sui nostri letti, nutriti con prelibatezze  e protetti da ferree leggi “animaliste” che ne sanciscono “la quasi umanità”. Bene, anzi, male,…  peccato che gli altri animali, nello stesso giorno, vengono spesso immolati nei focheracci sacrificali, in forma di braciole e salsicce.  
Speriamo che la coscienza universalista possa portare ad un maggiore rispetto verso tutte le forme viventi, nel frattempo apprezziamo lo sforzo di Don Peter Paul che a Chiesanuova di Treia mantiene la tradizione di Sant'Antonio Abate...
Paolo D’Arpini


…………………………..

Canto in sintonia:
S.Antonio S.Antonio lu nemico de lu demonio!
S.Antonio allu desertu
se cuciva li carzuni
Satanassu per dispettu
je freghette li buttuni
S.Antonio se ne frega
e co nu spago se li lega..
S.Antonio S.Antonio lu nemico de lu demonio!
S.Antonio allu deserto
se magnava li tajolini
Satanassu per dispetto
je rubbette li forcini
S.Antonio nun se lagna e co le mano se li magna..
S.Antonio S.Antonio lu nemico de lu demonio!




lunedì 15 gennaio 2018

Festa dei Precursori 2018 - Per il ritorno degli asini a Treia


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In seguito al magico incontro avuto con Caterina Regazzi, e …dopo la morte della mia ultima asina Fantina e degli altri miei animali residui,  decisi di lasciare Calcata e di trasferirmi  nel paese originario della mia nuova compagna di vita, in  un borgo molto bello  pur che di asini non ce ne sono molti  (… sic). Questo paese si trova nelle Marche e si chiama Treia. Ora spero di vivere in pace qui….

Comunque mai ho demorso né ora demordo (malgrado l’età avanzata) nel tentativo di portare avanti un esempio di vita ecologista.  E questo ora avviene a Treia, ove il Circolo vegetariano VV.TT. si è trasferito, ed ove spesso organizziamo eventi modesti ma significativi in collaborazione con il Circolo Auser Treia e con il comitato Treia Comunità ideale ed altre associazioni. 

Il prossimo  appuntamento importante sarà quello  della Festa dei Precursori che si svolgerà dal 27  al 29  aprile 2018.

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In  quella occasione  tornerò, durante uno degli incontri previsti,  sulla proposta  di  rendere il centro storico di Treia un’isola somarabile, ovvero una città ecologica, con le vie trasformate in giardini percorribili  da pedoni, asini e cavalli.

Questa è una proposta bioregionale che mi sta molto a cuore e che avevo avanzato anche a Calcata e persino a Roma, già da parecchi anni fa. Ritengo che se adeguatamente protetti, curati e foraggiati, i cavalli e gli asini a Treia ci potrebbero anche stare. Fanno parte della tradizione e inoltre con la crisi del petrolio, l’inquinamento automobilistico, etc. potrebbero fornire un’alternativa ecologica per il trasporto urbano (essendo l’altra alternativa la bicicletta ed il risciò a pedali o triciclo). 

Il cavallo ed il somaro da tempo immemorabile sono compagni dell’uomo, allontanare questi equini, come è successo per altri animali, dalla comunità umana non è certo una buona idea. Ritengo però che le carrozzelle andrebbero alleggerite, facendo in modo che l’animale non si affatichi, trasportando un massimo di due passeggeri.

Questo potrebbe essere un buon approccio  per ecologizzare e rendere evidente la magia della bellissima Treia  riservando le sue strade  solo a pedoni, persone munite di pattini a rotelle, biciclette,  cavalli, asini, etc. Il traffico veicolare automobilistico dovrebbe essere relegato alle aree periferiche del fuori porta, o per il semplice carico e scarico,  in modo così da alleggerire il tasso d’inquinamento ed inoltre creare l’occasione  nel cuore della città di sviluppare professioni alternative e fantasiose (artigiani, artisti, contadini urbani, etc.).

Treia è  un bellissimo borgo medioevale, ma attualmente prevale la mentalità dell’uso di vie e piazze come parcheggi per autovetture. Sicuramente il paese ci guadagnerebbe a ritrovare la sua vecchia immagine pulita e fiorita senza mezzi meccanici che la impuzzolentiscono.

Chissà se la amministrazione treiese, diretta da Franco Capponi, vorrà sposare la proposta di trasformare Treia in “isola somarabile”?

Io me lo auguro…

Paolo D’Arpini

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lunedì 8 gennaio 2018

Ecologia sociale - Matrimonio e prostituzione o famiglia allargata?


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Cosa non si fa per la pecunia, soprattutto quando “non olet” ma profuma di donna…. A turni alterni personaggi politici di destra, sinistra o centro rispolverano la proposta di riaprire le “case chiuse” per togliere il degrado del sesso consumato per strada, garantire l’igiene dei rapporti, evitare la piaga dello sfruttamento… ma sopratutto incrementare le entrate dello stato con nuove tasse sul sesso a pagamento.  

Ed appare strano che il vaticano che solitamente mette bocca su tutte le iniziative sociali  non si sia mai pronunciato sulla “regolamentazione della prostituzione”… Ma a pensarci bene strano non è  poiché sin dai tempi del papa re le imposte sulle “puttane” contribuirono grandemente all’edificazione della chiesa.

Povere donne, vilipese, offese e sfruttate in tutti i modi.

Ma andiamo per ordine, cominciamo da dove è iniziata la prostituzione per poter quindi indicare una soluzione “finale” e definitiva.

L’esercizio della prostituzione non ha età, sia in forma sacrale come avveniva nei templi dedicati alla Dea, sia in forma mascherata come nel caso delle etere greche o delle geishe giapponesi, sia nel modo compassionevole come per quelle donne che occasionalmente nei paesi “assistevano” maschi non maritati in cambio di vivande e compagnia, sia nel modo così detto “volgare” cioè con l’adescamento per strada, la prostituzione peripatetica, ed ancora tanti sono i modi e le maniere della concessione carnale per soddisfare una necessità fisiologica (perlopiù dei maschi) in cambio di prebende e denaro. Certo la prostituzione è una consuetudine antica, ma non così antica come si vorrebbe far credere…

Infatti è solo con l’affermarsi del patriarcato, circa cinquemila anni fa, e con la pratica del “matrimonio” che nacque nella società l’uso di “pagare” la donna. Il matrimonio stesso è una forma di accaparramento della donna, all’inizio per ottenere da lei qualche prole e successivamente per semplice sfogo sessuale. Ancora oggi in alcune civiltà asiatiche, in cui ancora si manifestano tracce del primo modello patriarcale, esistono i cosiddetti “matrimoni a tempo”, eufemismo per garantirsi i favori di una donna per un breve periodo….
In occidente con l’avvento del cristianesimo, che ha sancito il matrimonio come vincolo indissolubile e sacramentale, è andata vieppiù affermandosi l’esigenza della prostituzione. Insomma si può tranquillamente affermare che la prostituzione è una diretta conseguenza del vincolo matrimoniale.

Durante i periodi storici moralistici e fino alla legge Merlin in Italia il “turpe commercio” era stata regolato nelle così dette “case chiuse”, ovvero si erano tolte le prostitute dalla strada per evitare adescamenti scandalosi in periodi in cui i “colletti duri” nella società dettavano legge ma è stato solo un ipocrita sotterfugio. 

Oggigiorno con la liberalizzazione dei costumi (sarebbe meglio dire con la perdita della decenza) la prostituzione vagante, come pure quella domiciliare, telefonica, telematica ed in ogni altra forma possibile ed immaginabile, è diventata la norma nel rapporto fra i sessi. Non c’è più confine fra chi si prostituisce istituzionalmente, part time, a tempo pieno, su internet, nei pub, nella via, in famiglia, in vacanza, al cesso, che sia maschio o femmina non importa, chiunque in questa società è dedito alla prostituzione… questa è la triste verità…. Ed il risultato è solo una maggiore alienazione ed un gran senso di solitudine…

Trovo perciò assurda ogni pretesa istituzionale di “regolamentare la prostituzione” quando nei fatti lo scopo è solo quello di reperire nuove fonti di entrata per l’erario e non per sanare i mali correnti dell’ipocrisia… perbenista. Allora, se proprio si vuole affrontare il problema, in primis, evitiamo il vincolo matrimoniale che – come abbiamo visto- è la causa prima di questo scollamento sociale e della perdita di spontaneità e dignità nei rapporti fra uomo e donna. 

Tra l’altro non c’è nemmeno più la scusa che il matrimonio serva per proteggere i figli “che son curati e educati dalle madri che stanno in casa a far le casalinghe”, lo sappiamo tutti che quella della casalinga è una categoria in estinzione. Tutte le donne infatti se vogliono campare debbono sbattersi a cercare un lavoro, come i loro uomini, oppure… prostituirsi.

Togliendo l’obbligo istituzionale e religioso della famiglia tradizionale, composta di marito e moglie, ma persino eliminando le “coppie di fatto” gay o non gay che siano,  e recuperando una morale interpersonale di spiritualità laica, si possono facilmente ricreare soluzione fantasiose, le cosiddette famiglie aperte o “piccoli clan”, che di fatto stanno già nascendo più o meno di straforo e senza alcun riconoscimento ufficiale.

L’idea della famiglia allargata, con più femmine e maschi assieme od in altra combinazione prediletta, è l’unica speranza per risollevare le sorti della solidarietà e cooperazione fra cittadini, giovani e vecchi, che oggi non trovano una dimensione umana e culturale a loro consona. Si può definire “ecologia sociale”, una sezione dell’ecologia profonda. Tante persone mi telefonano e mi chiedono: “dov’è che c’è una comune od un eco-villaggio in cui potrei andare a vivere?”, questo è già un segnale che la famiglia allargata sta entrando nella mentalità sociale corrente. Solo che uno vorrebbe trovare la pappa fatta, ovvero la comune idilliaca già bella e pronta e collaudata, invece per un risultato “ad personam” occorre rimettersi in gioco e soprattutto smetterla con i criteri speculativi del “do ut des” e del cercare gli stessi “conforts” della società consumista pure nelle nuove aggregazioni.

Basterebbe questo ad interrompere il processo “prostitutivo” maschile e femminile? Forse… se accompagnato da sincerità e pulizia di cuore e di mente. Sicuramente spariglierebbe le carte e farebbe nascere nuovi esempi di “pansessualità ecologica” nella società umana.

Paolo D’Arpini


Famiglia allargata

mercoledì 3 gennaio 2018

Epifania della natura! Memoria storica sulla "befana"


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Conosciamo tutti il significato che la religione cattolica ha dato alla festività dell’Epifania, ma forse non tutti sappiamo che dietro la presunta storpiatura che ha trasformato il termine Epifania in “Befana”, c’è una serie di tradizioni antiche che sono riuscite, faticosamente, a sfidare i millenni ed a giungere fino a noi.
L’origine della Befana è nel mondo agricolo e pastorale. Anticamente, infatti, la dodicesima notte dopo il solstizio invernale, si celebrava la morte e la rinascita della natura, attraverso la figura di Madre Natura. In questa notte Madre Natura, stanca per aver donato tutte le sue energie durante l’anno, appariva sotto forma di una vecchia e benevola strega, che volava per i cieli con una scopa. Oramai secca, Madre Natura era pronta ad essere bruciata come un ramo, per far sì che potesse rinascere dalle ceneri come giovinetta Natura, una luna nuova.
Per meglio capire questa figura dobbiamo andare fino al periodo dell’antica Roma. Già gli antichi Romani celebravano l’inizio d’anno con feste in onore al dio Giano (e di qui il nome Januarius al primo mese dell’anno) e alla dea Strenia (e di qui la parola strenna come sinonimo di regalo). Queste feste erano chiamate Sigillaria; ci si scambiavano auguri e doni in forma di statuette d’argilla, o di bronzo e perfino d’oro e d’argento. Queste statuette erano dette “sigilla”, dal latino “sigillum”, diminutivo di “signum”, statua. Le Sigillaria erano attese soprattutto dai bambini che ricevevano in dono i loro sigilla (di solito di pasta dolce) in forma di bamboline e animaletti. Questa tradizione di doni e auguri si radicò così profondamente nella gente, che la Chiesa dovette tollerarla e adattarla alla sua dottrina.
In molte regioni italiane per l’Epifania si preparano torte a base di miele, proprio come facevano gli antichi Romani con la loro focaccia votiva dedicata a Giano nei primi giorni dell’anno 
Giano Bifronte.
Usanza antichissima e caratteristica è l’accensione del ceppo, grosso tronco che dovrà bruciare per dodici notti. E’ una tradizione risalente a forme di culto pagano di origine nordica: essa sopravvive l’antico rito del fuoco del solstizio d’inverno, con il quale si invocavano la luce e il calore del sole, e si propiziava la fertilità dei campi. E non è un caso se il carbone che rimane dopo la lenta combustione, che verrà utilizzato l’anno successivo per accendere il nuovo fuoco, è proprio tra i doni che la Befana distribuisce (trasformato chissà perché in un simbolo punitivo).
La tradizione è ancora conservata in alcune regioni d’Italia, con diverse varianti: a Genova viene acceso in alcune piazze, e l’usanza vuole che tutti vadano a prendere un tizzone di brace per il loro camino; in Puglia il ceppo viene circondato da 12 pezzi di legno diversi.
In molte famiglie, il ceppo, acceso la sera la sera della Vigilia, deve ardere per tutta la notte, e al mattino le ceneri vengono sparse sui campi per garantirsi buoni raccolti.
In epoca medioevale si dà molta importanza al periodo compreso tra il Natale e il 6 gennaio, un periodo di dodici notti dove la notte dell’Epifania è anche chiamata la “Dodicesima notte”. È un periodo molto delicato e critico per il calendario popolare, è il periodo che viene subito dopo la seminagione; è un periodo, quindi, pieno di speranze e di aspettative per il raccolto futuro, da cui dipende la sopravvivenza nel nuovo anno. In quelle dodici notti il popolo contadino credeva di vedere volare sopra i campi appena seminati Diana con un gruppo più o meno numeroso di donne, per rendere appunto fertili le campagne.
Nell’antica Roma Diana era non solo la dea della luna, ma anche la dea della fertilità e nelle credenze popolari del Medioevo Diana, nonostante la cristianizzazione, continuava ad essere venerata come tale. All’inizio Diana e queste figure femminili non avevano nulla di maligno, ma la Chiesa cristiana le condannò in quanto pagane e per rendere più credibile e più temuta questa condanna le dichiarò figlie di Satana! Diana, da buona dea della fecondità diventa così una divinità infernale, che con le sue cavalcate notturne alla testa delle anime di molte donne stimola la fantasia dei popoli contadini. Diana, Dea della Caccia, della Luna, delle partorienti. La Befana è spesso ritratta con la Luna sullo sfondo.
Di qui nascono i racconti di vere e proprie streghe, dei loro voli e convegni a cavallo tra il vecchio e il nuovo anno. Nasce anche da qui la tradizione diffusa in tutta Europa che il tempo tra Natale ed Epifania sia da ritenersi propizio alle streghe. E così presso i tedeschi del nord Diana diventa Frau Holle mentre nella Germania del sud, diventa Frau Berchta. Entrambe queste “Signore” portano in sé il bene e il male: sono gentili, benevole, sono le dee della vegetazione e della fertilità, le protettrici delle filatrici, ma nello stesso tempo si dimostrano cattive e spietate contro chi fa del male o è prepotente e violento. Si spostano volando o su una scopa o su un carro, seguite dalle “signore della notte”, le maghe e le streghe e le anime dei non battezzati.
La Festa della Dodicesima Notte ispirò tra gli altri William Shakespeare che scrisse la omonima commedia che ebbe la prima rappresentazione il 6 Gennaio del 1601 al Globe Theatre di Londra.
Daniel Maclise: La Dodicesima Notte, Malvolio e la Contessa.
Strenia, Diana, Holle, Berchta,… da tutto questo complesso stregonesco, ecco che finalmente prende il volo sulla sua scopa una strega di buon cuore: la Befana. Valicate le Alpi, la Diana-Berchta presso gli italiani muta il suo nome e diventa la benefica Vecchia del 6 gennaio, la Befana, rappresentata come una strega a cavallo della scopa, che, volando nella dodicesima notte, lascia ai bambini dolci o carbone. Come Frau Holle e Frau Berchta, la Befana è spesso raffigurata con la rocca in mano e come loro protegge e aiuta le filatrici.
Nella Befana si fondono tutti gli elementi della vecchia tradizione: la generosità della dea Strenia e lo spirito delle feste dell’antica Roma; i concetti di fertilità e fecondità della mite Diana; il truce aspetto esteriore avuto in eredità da certe streghe da tregenda (spostamento); una punta di crudeltà ereditata da Frau Berchta. Ancora oggi un po’ ovunque per l’Italia  si eseguono diversi riti purificatori simili a quelli del Carnevale, in cui si scaccia il maligno dai campi grazie a pentoloni che fanno gran chiasso: il 6 gennaio si accendono i falò, e, come una vera strega, anche la Befana viene qualche volta bruciata…

Paolo D’Arpini

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