martedì 7 dicembre 2021

Treia. Memorie di famiglia di Stefania Acquaticci

Treia. Il 4 dicembre 2021,  Stefania Acquaticci, nell'androne del palazzo dei suoi avi,   ha raccontato qualcosa della sua famiglia ed ha  letto, ad un pubblico scelto,  due lettere su episodi di vita dei suoi  antenati. La cosa è avvenuta in conclusione della manifestazione organizzata da ArTemisiaLAB dal titolo "Un antico palazzo, una nobile famiglia" - Tracce di storia".  Ringraziamo sentitamente Stefania per aver voluto condividere con noi i suoi ricordi.  (P.D'A. e C.R.)



Buonasera, è un’emozione per me entrare in questo palazzo perché qui è nato l’ultimo Giulio, mio padre. Il cielo era plumbeo quel 17 gennaio del 1924. Qualche anno dopo nel 1930 in fondo alla grande cucina che era stata la cappella, al lato opposto dell’affresco di san Nicola (1525), suo padre Enrico notò che la parete nascondeva un grande vano del quale si era persa memoria. Lì trovarono decine di quadri, forse nascosti per proteggerli dai saccheggi dei francesi fine ‘700… le tele ormai distrutte dai topi… e un piccolo scrittoio… alcuni  cassetti vuoti, ma in uno scorsero un pacchettino avvolto in carta bianca che conteneva una ciocca di riccioli biondi ed un bigliettino con la scritta “capelli di Giulio Acquaticci. Morto di gruppe a …anni nel 17… “ il piccolo Giulio di appena 5 anni con i suoi riccioli biondi rimase impressionato e dimenticò l’età e la data del suo omonimo precedessore.

Suo padre Enrico era partito in guerra nel 1912 e al suo ritorno nel 1919 trovò la famiglia duramente colpita, i due giovani fratelli morti di febbre spagnola, suo padre Giulio morì poco dopo lasciando un grande dissesto finanziario (causato dalla partecipazione in una conceria a chiesa nuova, il suo socio parti per le americhe lasciandolo con i debiti) che lo costrinse a cedere il suo patrimonio, la gran parte del palazzo, la villa Dolce Riposo e la sua amata biblioteca. Enrico si sposò nel 1923 e visse a qui con sua moglie Elide e i suoi figli, in una piccola porzione del palazzo fino al 1933, momento nel quale si trasferì a Macerata. Immobilizzato a letto negli ultimi tre anni della sua vita non permise mai che gli togliessero il cordone del terz’ordine di San Francesco che teneva annodato intorno alla vita. Accettò senza mai lamentarsi il suo duro destino. Fu l’ultimo della stirpe ad essere stato educato, secondo la tradizione, come un signore.

Suo padre Giulio, ricordato per la sua passione per Dante e la sua biblioteca, visse in questo palazzo insieme a suo fratello Nicola, ai fratelli Filippo e Pietro fu destinato il secondo Palazzo Acquaticci (dove da Filippo e la signora Teta nacque Caterina). Nicola amava l’arte, molti dei dipinti della chiesa di San Francesco erano opere sue, almeno così diceva mio nonno a mio padre bambino indicando i dipinti. Nicola sposò Volumnia Burbon del Monte che morì di parto dando alla luce Virginia, la nonna della Virginia che è qui tra noi.

Gaetano, padre di Giulio, Nicola, Filippo e Pietro, morì giovane lasciando a sua moglie Enrichetta Barbi il compito di educare i suoi figli e gestire una difficile situazione economica. Dai racconti di famiglia pare che si fosse interessato di commerci con l’oriente in società con ebrei anconetani, scelta che mandò in fumo gran parte del suo patrimonio.

Siamo a metà ottocento, un periodo di grande trasformazione politica e sociale, Enrichetta, ormai vedova, decide di far educare tre dei suoi quattro figli al monastero di S. Pietro di Perugia.


Vorrei donarvi alcuni stralci di due lettere:


Natale 1860

Carissima Madre.

Ricorrono le gioiose feste del Santo Natale e al cuore si sentono più vivi gli affetti; e noi troviamo grandissima soddisfazione nella dolcissima usanza di fare auguri a Lei, che la prima parte possiede del nostro cuore. Il Divino Salvatore che ci comanda di onorare ed anche i nostri Genitori, non sarà certamente tardo ad esaudir i voti che noi gli umiliamo per la nostra amorosa Madre, e vorrei benedire ad un tempo i proponimenti che noi facciamo di pronunciare con la nostra condotta buona, la consolazione di Lei che tante cure si prende per il nostro bene.

Noi godiamo buona salute, e speriamo che Dio ci conserverà lunghi anni, felice e prosperata la nostra cara Madre. ….

Le baciamo la mano chiedendole la S. Benedizione

siamo, Suoi Affezionatissimi Figli

Filippo Giulio Nicola



ll.ma Signora

Mi è doloroso dover parteciparle la risoluzione presa da questa Comunità che col corrente anno scolastico venga disciolto questo Alunnato, di cui fan parte i figlioli della S.V.

Non volendo qui tediarla col ragguaglio delle ragioni che hanno motivato questa risoluzione, mi restringerò solamente a dirle che le condizioni dei tempi potentemente la esigono, tanto più che il Monastero è per rivolgere Le sue cure alla classe più disagiata della Società sull’esempio di altre Badie. Ella avrà quindi la piacenza d’inviarmi persona, a cui consegnare i figlioli, non più tardi del mese di Novembre.

Colgo questa occasione per ringraziarla della fiducia che ha finora in noi riposto, e per dichiarararle coi sensi della più perfetta stima della S.V. Ill.ma Nobil Donna Sig.ra Enrichetta Barbi Ved. Acquaticci

Devotissimo Servitore, Don Paolo Melchiorri, Abate di Governo

S. Pietro di Perugia 11 Agosto 1861


Nella mia casa ho un ritratto di Enrichetta è una delle tante donne che hanno fatto la storia di questa famiglia, che silenziosamente hanno con dignità e amore attraversato le vicende familiari e sociali, ci ricordiamo di loro, grazie agli archivi ecclesiastici, dove venivano registrate come figlie, mogli e madri di quei figli che grazie alla loro cura avrebbero segnato la crescita culturale della comunità. Allora, come oggi, erano gli uomini a segnare la storia, sindaci, notai, accademici… nel bene e nel male.

Voglio ricordare una donna per tutte, Sora Clelia Acquaticci, così

la chiamavano in paese. Ormai lei era entrata di diritto nella nostra famiglia. Lella la chiamava mio padre bambino, era una trovatella nata a Treia nel 1870 e registrata col nome di Clelia Rubini, fu presa in casa da Giulio e sua moglie Maria quando lei aveva 14 anni. Non si volle sposare e si prese cura di mio nonno Enrico e i suoi quattro fratelli. Con i suoi risparmi ricomprò mobili e oggetti di famiglia che sapevano essere in possesso di ex addetti alla servitù, cose che volle riportare in casa. Morì all’età di novant’anni e nessuno più di lei fu custode delle tradizioni e dei fatti di famiglia. A quel mondo fatto di gratitudine, cura, dignità e sapienza sono profondamente legata, un mondo che sembra essersi sgretolato in una umanità che ha perso il senso di sé stessa. Un passato che questo palazzo ricorda con la sua architettura simbolica dove il numero 7, simbolo di saggezza, si ripete nelle sue colonne e i fiori della vita, simboli di rinascita e rigenerazione, accompagnano il nostro sguardo verso il cielo.

Stefania Acquaticci  







Treia 4 dicembre 2021 



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