Venerdì, 24 novembre 2017, colazione un po' indigesta al solito baretto di Treia. Non perché la pastarella fosse cattiva e nemmeno del cappuccino potevo lamentarmi, la barista conosce il suo mestiere. L'indisposizione deriva solo dalle notizie di stampa. Non si parla d'altro che di tacchini morti e di sconti favolosi ai grandi magazzini, con la cronaca degli scioperi annessi.
Che noia... siamo sempre
più succubi delle celebrazioni consumiste d'importazione e non ci
rendiamo più conto di quel che è genuino e di quel che è finto e
non ci appartiene. Ultimamente, e già da diversi giorni, imperversa
su tutti i media internazionali, nazionali e locali la sceneggiata del mangia tacchino USA (thanks
giving), che è stato giovedì scorso, seguito dal venerdì nero di oggi, “black friday”,
la festa della “svendita” in cui le grandi catene
offrono eccezionali promozioni al fine di incrementare le proprie entrate.
Insomma tutta una festa dell'inutile e del glamour. Che
c'entra poi con l'Italia? Son tre giorni che non si parla d'altro,
senza però menzionare l'assurda, barbara ed incongrua usanza di
sgozzare un tacchino per ringraziare Dio dei doni ricevuti dalla
Terra. Tutto in memoria del dettame biblico e della storia di
Abele, spacciato come il figlio “buono” di Adamo ed Eva, egli fu
in realtà un carnefice che sgozzava animali per offrirne le carni a
Jawè, mentre il fratello Caino, definito il “cattivo”, si
limitava ad offrire i frutti della terra. E nella bibbia è detto
che Jawè preferisse l’odore della carne bruciata al profumo dei
frutti della terra.
Così la strage degli innocenti si perpetua ora
ampliata dal rito commerciale del “black friday”, un nome che è
tutto un programma, in attesa della prossima orgia consumista del Santa Klaus: "Tacchini tremate le feste son tornate!"
Paolo D'Arpini
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