domenica 15 agosto 2021

Dagli orti di Cristo di Calcata all'orticello urbano di Treia...

 


Quando tanti anni fa a Calcata  decisi di denominare un pezzo di terra di cui ero il custode (l'ex discarica comunale denominata "Orti di Cristo" perché anticamente dava da mangiare ai poveretti) “Tempio della Spiritualità della Natura” lanciai un’idea buona anche per esaltare valori estetici e bioregionali. Per il mio “tempio della natura” (a volte detto anche “tempio sincretico di tutte le religioni”) il battage pubblicitario era stato fortissimo, articoli su articoli, trasmissioni tv su trasmissioni tv, anche Paolo Portoghesi aveva promesso di “regalare” uno stupa simbolico, insomma le premesse di una grande edificazione c’erano tutte… ma –ahimé- c’ero anch’io e come sapete io amo “inneggiare ed evocare” ma le mie iniziative vengono poi raccolte da altre mani e utilizzate per altri fini  ed io resto  senza costrutto!

Alla fine, quando partii da Calcata per ritirarmi a Treia,  il tempio restò un terreno  abbandonato a se stesso, “lasciato agli impulsi spontanei creativi della natura e delle sue creature”, ora, che io sappia,  nessuna presenza umana gentile  lo custodisce, osservando ciò che mamma creazione  vi plasma giorno per giorno, anno per anno. 

Dal  2010, con il mio trasferimento a Treia, nella casa avita di Caterina Regazzi, e relativo spostamento del Circolo vegetariano  (https://circolovegetarianotreia.wordpress.com/about/), anche il Tempio della Spiritualità della Natura  ha trovato una sua minuscola ubicazione nell'orticello urbano sottostante la  casa di Caterina. 

Anche le finalità di questo "tempietto" si sono ristrette, non più  un  “kurushetra”, com'era a Calcata,   ovvero  un “campo di battaglia” per il trionfo del bioregionalismo e della spiritualità laica,   piuttosto un “buen retiro”, un luogo in cui mantenere un diretto contatto con la natura, con i pochi animali che vi vivono (piccioni, lucertole, gechi, formiche, insetti vari, lumache, qualche gatto libero, ecc.) e con le piante che  vi crescono presso che spontanee (topinambur, bardana, zucchette pelose, pomidorini selvatici, cicorie, biete, olive e qualche rada pianta da frutto, ecc.). 

La mia presenza e quella di Caterina in questo "orticello bioregionale", erede inconsapevole  del più pretenzioso Tempio della Spiritualità della Natura,  prevede  solo un incontro ravvicinato con il luogo in modo da trarne un senso di appartenenza e di presenza. 

Teoricamente questo è un discorso ancora molto sentito in alcune  realtà rurali di Treia,  dove alcuni  ‘vecchi contadini’  insistono a conservare alcune verità basilari sulla terra e sull’arte di trarne frutto senza danneggiarla. 

Parlando in termini di agricoltura ‘naturale’ vorrei fare l’esempio della cura rivolta alla prole, che si manifesta con l’incoraggiamento alla crescita e non con la coercizione, allo stesso modo ci poniamo verso le risorse che madre terra offre.

In termini di agricoltura bioregionale ciò significa prima di tutto rendersi consapevoli di quello che spontaneamente cresce nel posto in cui si vive. Questo iniziale processo di osservazione, o accomunamento alla terra, è necessario per scoprire quante erbe e frutti commestibili son già disponibili, cresciuti in armonia organolettica con il suolo e quindi esprimenti un vero cibo integrato. 

Una accurata analisi consente l’immediato utilizzo di cibo  spontaneo per arricchire la dieta corrente, oggi limitata a poche specie coltivate (sia pure in modo biologico). Il passo successivo e quello di sperimentare l’eventuale inserimento nel terreno  di piante alimentari che siano in sintonia o meglio delle stesse famiglie di quelle spontanee. Questa graduale promozione ovviamente non può essere fatta con l’occhio distaccato di un botanico o di un tecnico agricolo ma va accompagnata da una reale presenza e compartecipazione al luogo, in modo da trarne occasione per un senso di appartenenza e condivisione (con la vita ivi presente) divenendo in tal modo noi stessi compartecipi della natura e suoi conservatori. E’ una convergenza, una osmosi, che si viene pian piano a creare fra noi e l’ambiente ed è anche la base della produzione di cibo vero (per uomini veri) che non va però relegata alla sola categoria dei contadini ma vista come la premura di ognuno.  Insomma è un atteggiamento di consapevolezza alimentare.

Infatti il mio consiglio  agli amici che talvolta vengono a trovarci è quello di intraprendere piccole coltivazioni casalinghe ovunque sia possibile, nel giardino dietro casa o sulla terrazza di un condominio, e di approfittare di ogni passeggiata nel verde per raccogliere delle erbe commestibili, in modo da spezzare la totale dipendenza dal cibo fornito dal mercato, rendendoci così responsabili -sia pure in minima parte- della nostra alimentazione.   E’ un aspetto essenziale della cura bioregionale  per la vita quotidiana e della presenza consapevole nel luogo.

Paolo D'Arpini


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