lunedì 2 ottobre 2017

Treia, 1 ottobre 2017: “Vissi d'arte, vissi d'amore...?” - Considerazioni su Dolores Prato in occasione dell'inaugurazione del suo Centro Studi


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Il 1 ottobre 2017 a Treia è stato un bel giorno, in cielo splendeva il sole, la mattina una coppia di amici sono venuti a trovarmi per raccogliere le olive verdi di San Francesco da fare in salamoia. Infatti è un bene avere 4 alberi di olivo nell'orto sotto casa così si può far provvista per l'inverno. 

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Il pomeriggio in città si svolgeva un evento culturale in onore di Dolores Prato, la manifestazione organizzata dal Comune prevedeva alcune performances nei luoghi che videro la presenza della scrittrice, drammatizzate dal bravo Carlo Vitali e dal suo gruppo teatrale. Seguiva al Teatro Comunale, alla presenza del sindaco Franco Capponi e del vice-sindaco Edi Castellani, la presentazione del libro di Stefania Severi: “Gatto, misterioso quanto il destino”, opera ispirata agli scritti di Dolores Prato su questi magici felini. Verso le 19.00 si è tenuta l'inaugurazione di una sala, sempre all'interno del Teatro, dedicata alla ricerca storiografica ed alla memoria della scrittrice che ha qualificato Treia. 


Il Centro Studi, situato a fianco del Foyer, è corredato di alcune immagini storiche dell'autrice e di alcuni reperti posti in teche di vetro. L'evento è stato molto seguito dalla popolazione treiese che è accorsa numerosa attardandosi sia nelle adiacenze del teatro che nell'ingresso dove era servito un aperitivo finale. Ho notato fra gli altri la presenza di diversi esponenti della cultura locale, come ad esempio Alberto Meriggi, Maurizio Angeletti, Fernando Pallocchini, tanto per nominarne qualcuno conosciuto. 

Ma a questo punto alcune mie riflessioni personali sulla figura di Dolores Prato sono necessarie per poter inquadrare il personaggio con gli occhi di un “treiese aggiunto”, come d'altronde fu la scrittrice stessa, figlia illegittima di una nobildonna, nata a Roma e successivamente affidata ad uno zio prete di origine emiliana che officiava a Treia. Il periodo trattato è situato all'inizio del XX secolo, quando la città di Treia era ancora densamente abitata nel suo centro storico e dove la vita aveva ancora il sapore di una ruralità e di una "perifericità" culturale diffusa. 

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L'adolescente Dolores mano nella mano con la suora 

Treia, un centro dell'entroterra maceratese, a quel tempo  non brillava certo per esperimenti all'avanguardia sociale, la tradizionale mentalità di una comunità chiusa in se stessa fu l'habitat in cui Dolores visse la sua infanzia e giovinezza, che poi successivamente durante la senilità,  al suo ritorno a Roma, fuoriuscì in forma di “pizzini”, brevi memorie di eventi vissuti, che riempirono pagine e pagine fitte fitte scritte a mano e che successivamente divennero il materiale editoriale del suo libro più famoso  “Giù la piazza non c'è nessuno”. 

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Questa non è Dolores Prato

E qui notiamo la prima nota dolente, per motivi “d'immagine” l'editore Quodlibet, mise in copertina la foto di una giovane collega di collegio della Prato, più appariscente e graziosa della piccola e scura e grassottela Dolores. Ebbi la pazienza ed il piacere  di leggere pian piano, gustandolo come un grosso frutto in maturazione continua,  questo voluminoso tomo di memorie, spesso farcito di ricordi rivisitati in più salse, con diverse attitudini e sensazioni. 

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Treia - Foto storica dei primi del '900

Il libro in verità descrive la sua ammirazione per la struttura architettonica e per l'habitat che circonda Treia ma lascia trasparire il malessere di una giovinetta che si sente estranea al contesto sociale in cui vive, soprattutto in seguito alla diffusa emarginazione da lei patita, in quanto “straniera” e “figlia della colpa”. Ben poche furono le persone dalle quali si sentì amata, lo zio prete che imparò a volerle bene solo con gli anni ed una vecchia fantesca che per averla baciata ed abbracciata le attaccò le verruche. Solo i più poveri ed i più derelitti sembrava avessero pietà per  quella bambina fuori posto, magari accogliendola al loro misero desco davanti ad un piatto di polenta scondita, che lei però mangiava con gusto, perché simbolo di affetto e di accettazione. 

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Per avere un'idea della profondità psicologica delle emozioni vissute da Dolores Prato a Treia l'unico consiglio che posso dare è quello di leggersi il suo libro, se non avete timore della commozione che ispira.

E poi mi son chiesto come mai questa donna, che ha descritto la società in cui visse, perlopiù tristemente, salvo rari sprazzi di gioia infantile immotivata, è stata poi presa a simbolo di Treia? Dopo la pubblicazione del libro la sua salma, sepolta anonimamente al cimitero di Roma, fu traslata nel camposanto di Treia con sopra una bella tomba scultorea ed una dedica. Post mortem ha avuto tutti i riconoscimenti, compreso quello di essere definita una “vera” treiese, onore che in vita non le fu concesso. Negli ultimi anni, da quando abito in città, ho assistito ad un continuo crescendo di manifestazioni e di eventi in suo ricordo ed il 1 ottobre 2017, con la costituzione di questo “centro studi” al Teatro comunale, una sorta di tempio laico alla memoria, ho avuto l'impressione che sia stato raggiunto un climax. Una sorta di “beatificazione” postuma e di accoglienza senza remore. In fondo sono riconoscente alla vicesindaco, Edi Castellani, per aver promosso questo processo di integrazione e riassorbimento nella comunità della -allora- negletta Dolores Prato. 

Paolo D'Arpini


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